martedì 1 febbraio 2011

IL DESTINO DELLE CITTA'

Il Destino delle città.


Un unico fotogramma, ripreso a caso in una città. C’è una palazzina con venti tetti appuntiti, abbaini color salmone, cupole rosse e serramenti verdi / Disneyland al cubo / Davanti ad essa una casa bianca bassa con vetrocemento nasconde parte della palazzina. L’altra metà è nascosta da una villetta vagamente wrightiana, volumi e aggetti incontrollati.
Intorno piramidi, cubi, sfere, mattoni finti, mosaici extralucidi, vetro, aiuole spartitraffico, dissuasori di cemento, abbaini a profusione, balconi sporgenti.
Las Vegas, meraviglioso ed unico circo sperimentale del consumismo costruito, è clonata ed infinitamente riprodotta. Ormai è  divenuta regola, unica indiscutibile, applicabile ovunque e a tutte le scale.
E’ la Città Diffusa, invenzione del terzo millennio, che si sviluppa intorno alle autostrade in prossimità delle grandi metropoli. Città come un cavo cablato, che trasporta flussi di City Users, divoratori di shopping extraurbano, che si nutrono di centri commerciali e fast food. (chi può farne a meno?). Flussi a venti gigabyte, e più, sempre più veloci, che necessitano di enormi insegne al neon per catalizzare un’attenzione distratta.


 


 
Il cinema di Ozu, già negli anni ’50, catturava in altrettanti scanditi fotogrammi una realtà già proiettata in questa direzione. Il contesto era la Tokio industriale, contrapposta al villaggio giapponese tradizionale. Realtà rurale - realtà urbana in evoluzione, le fabbriche fagocitano il residuo dell’ormai superato, dell’ora obsoleto.
Processo indistricabile, inevitabile, irreversibile. Misteriosamente affascinante, a tratti, quando la mutazione è fantascienza accattivante alla Bladerunner. Il fascino della Grande Mela che si avvolge intorno a Central Park, il fascino granguignolesco delle luci di Tokio, persino la poesia dei gasometri di Sironi.
Ma le nostre città diffuse di oggi sono brutte, anzi orrende. Smarriscono il nostro senso dell’orientamento, sovraccaricano la vista fino a fare male. Il costruito non è bello, ma (ben più grave) non è funzionale. Si sbatte contro tutto, gli edifici non sanno che percorsi farci seguire, non sanno guidare il nostro sguardo in modo corretto, non proteggono l’intimità quando serve, inquinano. Non ci insegnano più a vivere, come un tempo accadeva nella casa che sapeva essere domestica. Costruire, abitare, pensare. Un accordo ormai slegato.
D’altra parte c’è sempre la corrente di pensiero che asseconda. La spontaneità, l’assenza di regole, l’assenza di ogni buonsenso, se il guadagno economico è rinviato. C’è la speculazione. C’è la filosofia d’avanguardia, nelle sue forme esasperate.



Rem Koolhaas



Come spiega Rem Koolhaas  “il Junkspace” (sua definizione per il contenitore della città futura)   “è la somma complessiva delle nostre attuali conquiste; abbiamo costruito più di tutte le precedenti generazioni messe insieme, ma per qualche ragione non possiamo essere misurati sulla stessa scala. […] Il Junkspace è la realtà. Lo ha elaborato il ventesimo secolo, e il prossimo secolo ne sarà l’apoteosi”. (1)
Qual è il prossimo atto scrivibile, se mai c’è ancora possibilità alcuna che non rientri nella schiavitù dell’asservimento al destino inevitabile, deciso dalla “città stessa” (per se stessa) ?
Atto scrivibile o volontà ?
Occorre un buon costruito. Occorre un’etica, prima ancora di un estetica. Una nuova (?) responsabilità che i costruttori di città si assumano, una volta per tutte. Buon costruito, si dice di un edificio che funzioni, si dice di un edificio che sappia raccontare la sua storia, come faceva una casa antica in una città antica. Buon costruito è progetto, e progetto non è costruire alla velocità della luce senza prendere fiato tra una sillaba e l’altra. E’ una questione di tempo, di attenzione, sopratutto di Volontà di non accontentarsi dell’incasso (che fine ha fatto la Passione?)
La città cessa, muore, se non ci sono Persone che la abitano. Non macchine, automi, disperati, quali siamo, che si sanno più sedere davanti a un focolare perché non ne hanno più occasione. Che sia pure la Tv, basta che sia insieme, e con attenzione. Con Partecipazione.
La chiave è Esserci, stare nelle cose che si fanno, Abitare (tutti sinonimi? davvero?).
Costruire significa Pensare.



(1) Rem Koolhas, Junkspace, Ed .Quodblet, 2006

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