martedì 1 febbraio 2011

STORIA (E FINE) DI UN CAMPO ABBANDONATO


La mattina passo davanti ad una campo abbandonato. Dal finestrino vedo una striscia argillosa, che emerge attraverso una distesa di rovi, erbacce, fiori selvatici. Riconosco dei soffioni. /Freschezza, libertà/.
Là dietro c’è l’invasione del cemento, palazzine aggrovigliate senza un centro.
Ma Qui, ora, la sensazione di assaporare quella dimensione domestica ed affabile propria della campagna aperta di un tempo, quando la città era ancora circondata da questi spazi.
Spazi in cui è piacevole camminare, anche dove i sentieri si leggono a fatica.
Oggi trasformati in parchi, a volte/ anche intelligentemente, a volte/ con un minimo di interventi resi atti a garantire sicurezza e visitabilità, indiscriminata.



Da alcuni giorni al posto del campo abbandonato c’è un’enorme fossa a cielo aperto, dello stesso folgorante rosso argilloso, destinato al suo mirabolante canto del cigno, ormai giunto alla sua fine. Sorgerà qui il magazzino di una grande industria.
E’ il sistema, pare, che gira così: recalcitra ancora il consumismo capitalistico, dato per morente. Sostituiamo /prego/ il terreno incolto (e improduttivo) con una bella aiuola nel mezzo di una rotonda, così lo standard di verde urbano minimo è rispettato. Territorio usa e getta, divora gli ultimi scampoli di vita selvaggia e ribelle.
Con il pretesto che Abbandonato e Incolto non suona bene come parco Attrezzato/ questione di definizione / digressione lessicale.
Scusa buona per sostituire l’incolto con cementificazione parcheggiata e invenduta, che fa Ri- girare bene il sistema (agonizzante).
Mentalità istituzionale, specchio della INabitudine all’informale. Chi governa è parte di noi stessi, a volte.
Informale è il territorio abbandonato, privo di bellezza esteriore (forse), certamente improduttivo.

Gilles Clement

Il filosofo paesaggista Gilles Clement ha istruito il nostro sapere con una nuova (questa sì alta) definizione: terzo paesaggio.
“Terzo paesaggio, che sta a metà, ai margini, dove i boschi si diradano, lungo le strade e i fiumi, negli angoli perduti di un campo, nelle aree dismesse dall'uomo. Luoghi diversi per forma e dimensione che hanno un unico punto in comune, sono luoghi in cui trova rifugio la diversità animale e vegetale che i si auto organizza, evolve e cresce, costituendo un vero e proprio ecosistema”. (1)
Anche il pianeta dell’arte con la sensibilità che gli è propria sa cogliere il valore del perduto per sempre.



Christiane Lohr, Samenbeutel, 2009

Un esempio è dato dalle sculture leggere ed eteree di Christiane Lohr, fatte di semi e fiori, di crine di cavallo. Come muffe e licheni si appropriano delle pareti spoglie delle sale museali. Si arrampicano sui piedistalli. Impalpabili, creature spirituali. La Lohr le sue minuscole creature del bosco le preserva come in una personale Arca di Noè, in vista di una non lontana estinzione.
La non vita della pianticella estirpata è di nuovo vita e Lezione nella mente, nella cultura infiltrante, che così ne risulta riEducata.
Un’aurea di sacralità avvolge queste erbe, che ritrovano fuori dal loro habitat una collocazione degna, seppur forzatamente (storicamente) imposta. Questo in un contesto in cui la vera natura sembra destinata alla riduzione al suo simulacro virtuale, alla sola catalogazione in Wikipedia.
A ricordarci anche il Nostro posto, che ci spetta, all’interno (e non aldisopra, aprioristicamente) del nostro ECOsistema.



LT.






(1)         G. Clement, Manifesto del terzo paesaggio, Ed. Quodlibet, 2005.

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